Una perfetta sconosciuta

di Leonardo Castoro

Illustrazione di Gianmarco Martelli

Salì sul bus. Era strapieno.
Tutti i posti occupati. Si fece strada tra schiene, braccia, piedi.
Intanto, era già ripartito. Urtò contro un signore corpulento. Non si scambiarono uno sguardo amorevole. Si scusò a voce talmente bassa da non sentirsi neanche lui. Si attaccò ad un palo oleato dal sudore di mille mani. Ad ogni curva, ad ogni semaforo, ad ogni frenata, finiva sempre per sbattere contro gli altri.
Si respirava poco e male.
Fu allora che la vide.

In fondo, attaccata ad un altro palo, vicino all’uscita posteriore. La riconobbe subito. D’istinto, distolse lo sguardo. Si fece più stretto al palo. Abbassò la testa, persino un po’ le spalle. Si nascose dietro tutta quella massa di gente.

Erano passati…quanti anni erano passati?
La risposta arrivò dopo poco. Non gli piacque. Era tanto tempo. E gli sembrava ancor di più. Quanto. Quanto tempo. Ora la curiosità di guardarla era forte. Risollevò gli occhi, piano, appena oltre il groviglio di arti.

Era proprio lei.

Non si era sbagliato. Era cambiata. Non sapeva dire in che cosa, ma era cambiata.
Forse i capelli. Più corti? Una sfumatura diversa? Forse.
Non avrebbe saputo dirlo con certezza. Ma era cambiata. Qualcosa nello sguardo, ma forse era solo stanca. Chi non era stanco, a quell’ora, in quel bus? Forse anche lei lo avrebbe trovato cambiato. Anzi, di sicuro. Non le sfuggiva mai niente, una volta. La vide alzare lo sguardo. Lui non distolse il suo, ora. Si sentiva battere forte il cuore. Perché? I loro occhi non si incrociarono. Il cuore tornò a battere normalmente.
Delusione o sollievo? Non voleva saperlo, forse.
Anche gli occhi, i suoi occhi, avevano qualcosa di diverso.

Scoprì di non ricordarsi la sua voce. Non la ricordava più. Però ricordava ancora la sua risata.
Ricordava ancora il suo corpo. L’odore della sua pelle, del suo sudore. Era stato dentro quel corpo. Era stato quel corpo. E ora eccola lì, in fondo a quel pullman. Non voleva neanche salutarla. Ma non distolse più lo sguardo. Non ci riusciva. Era patetico. Patetico e triste. Non ricordava più la sua voce, ma ricordava i pomeriggi, le nottate. I litigi. Le lacrime. I sorrisi. L’elettricità sotto la pelle. Nelle vene. Nello stomaco. Il desiderio. La rabbia.
Basta.

Basta.
Forse anche lei lo aveva visto. Forse lo stava vedendo proprio in quel momento, con la coda dell’occhio. Ne era perfettamente capace. Allora anche lei non voleva salutarlo. Non voleva neanche degnarlo di uno sguardo. Ma poteva biasimarla? Non si erano lasciati in malo modo. Non troppo. Ma importava?
Erano mai stati veramente insieme? Loro, loro due? Potevano dire entrambi di essere stati quelle due persone, una volta? Con tutto ciò che era successo, da allora. I loro capelli, i loro occhi, i loro corpi, la loro pelle, forse anche il loro sorriso non erano più gli stessi. Come aveva fatto a riconoscerla?
Ora lo vedeva.

Lo vedeva bene. Ora poteva guardarla senza problemi. Era solo un’estranea, sì, una perfetta sconosciuta. In un pullman, di sera, come tutti gli altri perfetti sconosciuti, lì, ammassati, pronti a scontrarsi ad ogni frenata.