EROE – CAPITOLO IV

di
Federico Cirillo

Illustrazione di Ponz

 

– Chi è più solo di un eroe?

 

L’amore ai tempi del 766. Oddio, se l’amore avesse proprio gli stessi tempi e i modi del 766 sarebbe un’interminabile agonia: incontri e scontri casuali, scossoni, ritardi, fermate saltate, titoli non convalidati o convalidati a metà come gli sguardi, distratti e non, lanciati alla moretta che siede poco avanti. Oddio, forse invece l’amore è proprio come stare sul 766: soli per tutto il tragitto, finché non ci si rende conto di aver suonato la stessa ferma… non faccio in tempo a concludere questo malsano quanto inutile pensiero che lo vedo, come ogni lunedì sera, palesarsi all’improvviso nel mezzo della folla. Batman: tra me e la moretta dai ricci scomposti e selvaggi che ogni tanto mi spizza con occhi taglienti e felini, ignara della presenza del “folle” Cavaliere Oscuro. Quasi quasi mi alzo e lo saluto, penso, e gli chiedo anche spiegazioni su ‘sti gadget che mi ha dato Alfred, o meglio, il signor Alfredo. Invece no: rimango lì, seduto sul solito sedile del 766, a guardarlo da lontano. Ha catalizzato la mia attenzione più della moretta che, intanto, dopo due fermate andate a vuoto e un tentativo di sorridermi, è scesa ed è andata via: proprio come l’amore.

‘Sto tizio mi fotte il cervello, ripeto tra me e me mentre continuo a scrutarlo dauna distanza che sembra chilometrica, ma che in realtà è dannatamente breve. Più mi sforzo di guardarlo e analizzarlo e più, ogni volta, sembra diverso, più giovane.

«Ma è più giovane, cazzo!» esclamo a bassa voce. È sicuramente più giovane: spalle larghe che fanno da cornice ad un petto aperto e muscoloso. Maschera ben aderente al volto e sguardo che fuoriesce tagliato e severo, ma pacifico, dalle fessure degli occhi. Non è più impacciato ma, anzi, fa sentire gli altri attorno a sé in difetto e fuori contesto. Sì, ha qualche ruga agli angoli della bocca, ma la sua figura, in quella calzamaglia non più buffa e lacera, si staglia perfettamente al centro del 766: è suo quel posto, è suo quello spazio. Sicuro e serioso, ma triste e tremendamente solo. Forse anche per lui il 766 è una metafora d’amore, in quella solitudine di cui è protagonista?

«Sai R., anche lui è stato innamorato una volta. Anche se non lo ammetterà mai, anche lui si innamorò: ed è successo proprio qui, sul 766». Alfredo, penso, e come ti sbagli, mi domando. Puntuale, proprio quando non se ne sente la necessità, come il 766… «Beh sì – interrompe i miei pensieri senza attendere un mio intervento, tanto con lui pare non ve ne sia il bisogno – magari il 766 è stato sempre in ritardo, ma ti dico, caro R., che qui, puntuale, nacque un amore. Sempre seguendo un percorso particolarmente tortuoso e dai tratti noir, ci mancherebbe: d’altronde, è il suo stile. Ascolta, magari serve anche al nostro scopo». Fingendo di non aver visto lo sguardo complice che i due, Batman e Alfred, si sono lanciati a distanza (Alfred è buffo, penso, quando fa l’occhiolino: piega la testa nella stessa direzione a cui rivolge il cenno), e rimango in silenzio, semplicemente ad ascoltare.

«Notte. È la notte, d’altronde, il miglior palcoscenico per gli amanti. Il 766 era affollato e un mare di gente si accalcava su quello che sembrava più il vagone di un carro bestiame che un bus. Gente sudata, gente che sbuffava ovunque e condensa che aumentava sui finestrini. Il vociare era assordante, anche se ognuno pensava a sé e, quasi, parlava da solo: un vociare di singoli pensieri che creava un chiassoso caos. Come al solito c’ero anche io, di ritorno da alcuni servizi per… beh, non importa. In fondo al bus una ragazza, statura media, corporatura esile. I suoi capelli castani e vaporosi dovevano dare, al tatto, la stessa sensazione che dà il velluto. Lunghi, seguivano ondeggiando i movimenti rapidi delle espressioni del suo viso, bianco come le stelle di notte, spigoloso e pungente come il vento quella sera. Notevole, pensai. Ma quello che non si poteva non notare erano i suoi occhi: lucenti e profondi, misti d’agata e metallo, fiammanti e crepitanti, quasi come due finestre che permettevano di vedere altri universi. Non importa il colore, era cangiante, quasi diverso a seconda di dove guardasse. La mia attenzione era tutta rivolta ai suoi occhi acuti e felini, mossi da una danza nervosa fatta di scatti; tanto mi ero perso nel mondo che essi proiettavano che inizialmente non notai i suoi artigli: più rapidi e veloci dei suoi sguardi. Approfittando di un lieve scossone, di un urto improvviso del 766, furtivo fu il suo gesto e, tra la folla ingenua e assente, veloce la sua mano. Una ladra, pensai, ma non dissi nulla, quasi ipnotizzato da ciò in cui mi ero avventurato con la mente e con i sensi. Fatto sta, caro R., che la ragazza, svelta e dalle movenze sinuose, si districò tra la gente senza sfiorarla, senza fare rumore, avvicinandosi alla porta per scendere alla fermata successiva. Ma, come anche tu ragionavi poc’anzi, è forse l’amore una fermata del 766? Non fece in tempo a scendere dal bus, a respirare l’aria della fresca libertà che da dietro fu braccata e risucchiata nella “cagnara” a lei ostile e, con un lamento simile ad un flebile miagolio, spalancò gli occhi disorientati e smarriti: due braccia possenti, sovrastate da un mantello nero, la bloccarono. La lotta tra amore e libertà aveva inizio. Si girò, rapida, sfoderando le sue armi: unghie affilate e curate, taglienti quanto i suoi occhi. Si agitava e dimenava, si sforzava per uscire dalla morsa potente ma allo stesso tempo sicura e protettiva di Batman. E fu lì che scattò, ragazzo. Fu lì che la fermata dell’amore non saltò, quella volta, ma anzi suonò puntuale. Questione di un lampo, un incrocio di pensieri e di universi paralleli, prima che di sguardi. Quell’attimo, R., durò in eterno: c’ero io a distanza, quasi in trance, al centro del 766, e loro, in una posa talmente innaturale da sembrare artistica. Tutt’attorno, acquarelli sbiaditi di singole umanità, dettagli che si scioglievano ai margini di quell’abbraccio così forzato da apparire voluto. Lo vidi. Vidi tutto l’amore che mai lui aveva provato e che mai più, da allora, provò. Alla fermata successiva, la lasciò andare. Lei si scosse, si riebbe spegnendo in un lampo il crepitio felino che li aveva uniti. Scese, lasciando in lui tutto di lei: la prima vera sconfitta dell’uomo Batman, la giustizia che si piegava all’amore… peccati di gioventù, insomma.»

«E la rivide?» chiedo come se fossi stato anche io con lui su questo stesso 766, in quel giorno indefinito.

«Oh sì – fa lui, scendendo e dandomi le spalle – ma non fu mai come quella volta.»

Quindi, bloccandosi insieme alla corsa del bus, dopo un profondo sospiro, inaspettatamente mi fa: «La prossima è la tua fermata, R. Tocca a te, ora».

[Continua…]