Aspettando il tram

Ogni maledetto weekend

di Davide Paciello
Illustrazione di Francesca Bosco

Oggi non ho fretta che arrivi il tram, posso aspettare.

È di nuovo sabato.
Ai tempi della scuola il mio amico si lamentava sempre dei sabati.
Sognava una lunga giocata al PC, ma la condizione dell’adolescenza imponeva l’obbligo sociale di uscire.

Interagire con gli altri, stringere amicizie, legami duraturi, ma soprattutto utili.
Sapevamo che non avremmo scopato e neanche pomiciato, che era quello a cui, realisticamente, puntavamo, ma dovevamo provarci comunque.

Il tram non arriva, ma è ancora presto.

Una volta la mia compagna mi chiese perché stessimo andando al laboratorio politico per vedere una qualche finale di calcio. Nessuno di noi due ama, o sopporta, quello sport, ma dovevamo andare.
Le dissi: «La vita è fatta di cose che non ci va di fare, per motivi che non capiamo, insieme a persone che neanche ci interessano».

Uscire di casa, trascinarsi per le strade; le orde di non morti che vagano da una cicchetteria all’altra. Randagi in cerca di un senso, di uno scopo, di un significato.

Il nulla cavalca le nostre esistenze, genera un vuoto dentro noi.
Ci riempiamo di alienazione, frustrazione e orrore. Il sabato sera siamo davanti all’abisso e ci versiamo sopra alcool, schifo e movimenti sconnessi. Il chiacchiericcio, come frinire di cicale, mette a tacere quel devastante silenzio che penetra le nostre esistenze.

Ecco cos’è il sabato sera: un tentativo di tregua dal dolore, una farsa sociale spazzata via dalla domenica pomeriggio quando, la realtà, ci sorprende, comatosi, sul divano.

Temo che oggi il tram arriverà in tempo.

La vita degli animali sociali è dominata da rituali nello sforzo di creare significati e legami.
La finale da vedersi con gli amici del bar, le bevute del sabato sera, il pranzo domenicale a casa dei suoi… l’ordine che costruiamo per arginare il caos.

Non c’è alcun motivo per cui ogni domenica siamo a pranzo dai suoi, solo un senso di dovere che pervade tanto noi quanto loro.

Cancellare qualsiasi criticità dalla vita, eseguire azioni obbligate e socialmente accettate come il battesimo o il matrimonio davanti alla divinità senza chiedersi se esista, cosa sia e che significhi quell’azione.
Una vita di seconda mano, sgualcita da tradizioni inventate per evadere domande senza risposta del tipo: perché lo faccio?

Come direbbe Hank, “Alla fine, qui, non resta niente alla morte da portare via”.