La saggezza del mare di Björn Larsson: nessun romanticismo, il mare non perdona.

di Rachele Fattore
Illustrazione di Anastasia Coppola


Edito da Iperborea, “La saggezza del mare” è quasi un diario di bordo interiore tenuto dallo scrittore svedese in un periodo passato a navigare senza soste.


Per chi soffre il mal di mare

Pare che i portolani siano carte per sognatori.
Per chi soffrisse il mal di mare, seguire le tappe del Rustica potrebbe essere un buon modo per levare gli ormeggi. Basta scegliere un porto impostare una velocità di navigazione a nove nodi e abbandonarsi alle pagine.

Per chi non teme le tempeste ma sa fare i conti con la propria esperienza.

Motivazione della sentenza: Il Signor Larsson non vuole che altri decidano cosa deve fare.

Così, all’età di diciott’anni, si manifesta in maniera plateale il rifiuto per gli obblighi e le convenzioni che porterà l’autore lontano dagli schemi di una vita tradizionale. Un biglietto di sola andata per Parigi, un treno e una vendemmia per pagarsi una chambre de bonne. Inizia la ricerca di libertà, il vagabondare per il mondo “senza fissa dimora”, l’affidarsi agli elementi come termometro del proprio benessere. Larsson racconta in prima persona traversate ed ormeggi nel mare del Nord. Sono le riflessioni e le tappe del viaggio interiore ad ammaliare come sirene.

Tra mare, terra, whisky e caffè

Questo romanzo non è solo mare, è anche terra ben salda.

Terra, mare e quella necessità di partire. Ma anche di avere un porto e un altro ancora unite alla malinconia degli incontri fugaci e all’inquietudine sottile e costante propria dell’essere umano. Un romanzo fatto di incontri e di osservazioni: pescatori bloccati in porto da onde troppo alte, giovani fuggiti alla prigionia delle petroliere che si improvvisano navigatori e suonano la chitarra per le strade di Lisbona e colleghi di navigazione. 

Si entra nei pensieri del narratore come se si fosse seduti con lui in pozzetto a discorrere tra una tazza di caffè e un bicchiere di whisky, carezzando la brezza leggera e discontinua.

Quando non c’è nessuno che ti aspetta dall’altra parte dell’orizzonte e i piani possono essere cambiati in ragione delle condizioni del mare e dei propri desideri, allora anche una notte in più in un porto rimane la libertà di poter partire quando si decide di farlo.

Fortuna, insperate opportunità e provvidenza: servono tutti questi ingredienti per riuscire a tornare in porto quando l’esperienza non basta, ricordando che in mare si possono dimenticare le proprie ansie e quelle del mondo, ma che questo non aiuta a risolverle.

Nessun romanticismo: il mare non perdona

Nelle notti in cui la stanchezza si fa sfiancante si deve combattere con la propria coscienza per uscirne vivi. Navigare non è cosa per tutti: ci sono acque piene di correnti dove bussola e solcometro non servono; c’è quello che le carte nautiche non segnano come navi container e piattaforme di trivellazione che si materializzano in visioni notturne prive di profondità; traversate più dense di masochismo che di piacere. E quel pericolo che paradossalmente aumenta con la vicinanza della terraferma. Bisogna dunque affrontare il viaggio con profonda umiltà, conoscendo e accettando i propri limiti e godendo di quello che, scampata la morte, si impara di sé stessi.