Pasqua di Passione

Pasqua di Passione

di Claudio Ferrucci

Alle 6:30 di mattina l’aria di Roma è frizzante e quasi elettrica: come se un soffio di vento vitale dovesse, passando di casa in casa, risvegliare tutti e riportarli all’ordine delle classiche tradizioni.
Dalla fermata del 62, proprio di fronte Castel Sant’Angelo, ancora poche sono le persone che si aggirano tra Via della Conciliazione e il maestoso monumento. Il sole, pallido e lievemente lattiginoso, stiracchiandosi, si riflette con uno sbadiglio nel vetro del bus che sto per prendere.

Ah la meraviglia dei giorni di festa: un 62 vuoto tanto che la scelta del posto diventa un privilegio solo per chi, già sveglio come me, lo può apprezzare. Solo un posto è occupato.
Addormentato profondamente, abbracciato al divisore del bus e con la guancia che gli aderisce precisamente, c’è un ragazzo vestito da Gesù.
Quello stesso raggio di sole che poco fa si rifletteva sul cofano del 62, ora illumina quella figura e regala i dettagli di una vita.

Come un Caravaggio, l’immagine di questo Gesù si staglia di fronte a me: i capelli ricci, spettinati e sudaticci, irrompono sulla finta corona di spine che, a fascia, gli comprime un po’ la testa; la tunica, sgualcita, un po’ annerita e tagliata su un fianco, si alza sulle caviglie e mette in mostra i sandali di una qualche sottomarca, comprati in fretta e furia ad un mercato; chiodi di gomma e sangue finto, corredano le mani che, per inerzia, si appoggiano al corrimano; sul viso i segni di una notte di passione.
Sì la Passione – penso – è sicuramente uno dei personaggi, anzi, il Personaggio principale della Passione che si è svolta ieri. Tra tutti, lui ha scelto o è stato scelto, chissà, per rappresentare quello che forse reputa il suo eroe ed è bello che, ad oggi, un giovane abbia ancora voglia di smettere i panni del “selfie made man” per tornare un po’ alle tradizioni e alle origini, in questa società poi, che, indistintamente, tende a scordarle e a metterle da parte.

Bravo! Penso, mentre scendo a Corso Vittorio Emanuele per quelle mie quotidiane faccende da neo pensionato: questo ragazzo mi ha dato un nuovo motivo per festeggiare questa Pasqua, lasciando alle spalle il bus che continua il suo viaggio.

«Capolinea! Stazione Tiburtina, capolinea daje, scendereeee. Aò ma te vuoi sveja a GesùCrì», esclama con voce roca e da accanito fumatore l’autista del 62, e con un gesto deciso strattona il soggetto caravaggesco ancora in coma.
«Ma n’do cazzo…» fa il Gesù svegliandosi e pulendosi la bava che viscosa ha imbrattato tutto il corrimano. Preso ancora dal sonno riesce giusto a sbiascicare: «è Monte Mario qua?», stropicciandosi gli occhi.
«Ma quale Monte Mario, a’ coso, stiamo a Tiburtina, la stazione: er capolinea. Pe Monte Mario dovevi prende il 69 questo è il 62…e me stai a fa pure perde troppo tempo».
«Nooo ma che cazzo! Lo sapevo che ieri non me dovevo ridurre così…cazzo de idea per i 33 anni…».
«Tacci tua…ma che hai fatto, tutto a posto sì? Te senti bene?».
«Sento…sì, sì…sento…madonna – accennando un rutto alcolico – sento ancora tutto er gin tonic…eccolo che resuscita nell’esofago, mamma mia che porcheria».
«Eh, o’ sento pur’io. Scendi va che devo scappa a casa…».
«Ma dimme…sto 62 mica riparte e me riporta indietro, vè?».
«No, mo questo va al deposito…devi prendi l’altro tra na mezz’oretta…anzi, pure di più: è Pasqua. Daje, alzate e cammina bello».

Tirandosi in basso la tunica, aggiustandosi la finta corona e la parrucca nera, perdendo un chiodo di gomma dalla mano e sudando un po’ di finto sangue che, come un rivolo, ora gli segna tutta la guancia nel solco esatto che il divisore del 62 gli ha regalato, un ubriaco Gesù, barcollando per i fumi di troppi scadenti gin tonic, trascina lentamente la sua “croce”.
Una croce fatta di after di una festa a tema per i suoi 33 anni che si farà sentire ancora a lungo per le fermate della Stazione Tiburtina.
E mentre si allontana porta con sè quello spirito, poco santo, di chi cerca di ricordare quella nottata di passione.

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