Linea 900 – Tommaso Landolfi

di Silvia Cestoni

Landolfi, l’unicum

Landolfi è un autore dai vari generi, ma al tempo stesso uno scrittore che non si può inserire in nessuna tendenza, e questo spiega la sua scarsa fortuna con lettori e critici. Alcuni critici l’hanno amato, mentre altri l’hanno ripudiato, considerandolo solo un calligrafista. Landolfi è un unicum, sia come autore che come personaggio: sicuramente appartiene alla linea del fantastico, la quale non a caso non è né un genere né una scuola. Nei suoi testi troviamo punte di magia e di realismo che lo avvicinano al realismo magico di Bontempelli, ma anche lo strano e il meraviglioso, è stato anche avvicinato al Surrealismo insieme a Delfini e Buzzati: tuttavia, nel Surrealismo non c’è una precisa ricerca di stile come quella di Landolfi perché nel surrealismo la forma è casuale.
In Landolfi nulla è casuale, ma tutto è invece progettato e costruito. Nelle sue opere c’è sempre un doppio livello: una realtà da cui poi si slitta in una dimensione altra.
“La pietra lunare” è il suo primo romanzo: prima aveva scritto una serie di racconti, tra i quali uno dei meno fortunati è “Maria Giuseppa”, oltre ad un tentativo di romanzo fantascientifico “Cancro regina”. Tutta l’opera di Landolfi è un’autobiografia, la quale diventa poi letteratura vera e propria.

Lo stile

Lo stile di Landolfi sarà esaltato e condannato: infatti, il suo è uno stile alto, “letteratissimo”, che attinge alla tradizione rifacendosi anche ad un linguaggio arcaico ed è frequente l’uso di parole rare, deformate, e popolari:

  • Parole rare: “tempo soggiuntivo” (ovvero congiuntivo); “la di lui fantesca” (fantesca oggi non si usa più); “menomo stupore” (minimo stupore); “avvero dire” (a dire il vero); “la spasa” (un cestino); “pretestava” (ovvero portare a pretesto)
  • Parole plebee: “barbugliava e balbutendo” che sono delle varianti di “balbettare”; “stronfiava” (russare); “pidocchiava” (con riferimento ai capelli sporchi del cugino)
  • Figure retoriche: “voce soffice e un po’ rauca” (voce soffice è una sinestesia); “capelli invioliti” ( ovvero la luce lunare crea riflessi blu e viola); “lenta oscurità luminosa” (lenta oscurità è un’ipallage perché la lentezza non è nell’oscurità; oscurità luminosa è un ossimoro); “vasta marea della sua luce” ( vasta luce è una sinestesia; marea della luce è una metafora)
    Spesso domina il contrasto luce- ombra, che è una componente barocca, e il tema della vastità. Il linguaggio di Landolfi è preciso, e la precisione è un elemento congeniale anche a Calvino.

La pietra lunare

L’opera più famosa di Landolfi è “La pietra Lunare”, del 1939.
All’inizio dell’opera abbiamo una descrizione zelante in cui vengono riportate le chiacchiere di alcuni paesani sciocchi intenti a criticare una serva. Si tratta degli zii e dei cugini di Giovancarlo, il protagonista del romanzo. Uno degli zii ad un certo punto dirà di aver visto una croce nera proiettarsi in mezzo al giardino, e questo sarà il primo elemento di inquietudine: infatti, Giovancarlo guarda in quel punto ma vede invece due occhi felini che lo fissano. Questi occhi escono poi dall’ombra mentre entra nella stanza Gurù, una giovane bellissima e sensuale che fissa Giovancarlo, il quale è attratto da lei ma al tempo stesso la respinge. Infatti, osservandola noterà che essa ha dei piedi di capra.
Comincia così a chiedersi se zii e cugini se ne siano accorti, ma non sembra poiché tutti la trattano con affetto e normalità. Gurù dirà di essere venuta lì per stare con Giovancarlo e lui è ancora più scioccato, in quanto non conosce questa ragazza.
L’ambientazione è nel palazzo signorile di Pico, appartenente allo stesso Landolfi. Giovancarlo cercherò a più riprese di far notare i piedi di capra ma tutti lo guarderanno sgomenti, come se stesse delirando, e allora si chiede se non si tratti solo di una allucinazione.
Cambia l’ambientazione e si passa successivamente alla descrizione di Giovancarlo. Qui scopriamo che il protagonista ha un vizio, ovvero quello si spiare tutti dall’alto del suo palazzo. Questa componente voyeuristica indica una certa repressione del personaggio. Egli vedrà un giorno un palazzotto in rovina, dove un tempo vi abitavano dei fratelli banditi e assassini che erano stati il terrore della zona: ora vi abita una loro discendente, una ragazza bellissima, pura e virtuosissima che ha la caratteristica di guardare sempre per terra. Proprio per questo suo eccesso di virtù e di mistero in paese si comincia a vociferare che sia una strega, anche perché la sera la si sente cantare nenie ambigue. Questa fanciulla è ovviamente Gurù e Giovancarlo la riconosce.

Creatura lunare

Chiede alla sua serva Giovannina informazioni su di lei e una vecchia di paese gli rivelerà che è una creatura lunare, ovvero che di notte si trasforma in una diabolica fanciulla amica del diavolo. Con la scusa di farle ricamare delle camicie la farà venire in casa sua e inizierà così la loro relazione, spesso tormentata: infatti, di giorno Gurù è una fanciulla dolce e virtuosa, ma di notte diventa un’amante scatenata. Emerge, dunque, il tema del doppio e della metamorfosi. Viene raccontato poi un episodio i cui i due si uniscono ad un gruppo di banditi, forse fantasmi degli antenati di Gurù, e uno di essi mostrerà a Giovancarlo come decapitare un prigioniero con un coltellino. Segue una scena cruenta, con il sangue che sgorga e zampilla e la testa che rotola giù dalle rocce.