Anastasia Coppola - Il grande scherzo

Il grande scherzo

di Gino Ciaglia

Illustrazione di Anastasia Coppola

In attesa del supplente spingevamo Luca per i corridoi simulando il rombo del motore.
A scuola era l’unico in sedia a rotelle, altrimenti io, Luca e Vito avremmo organizzato un carrozzella GP.
Puntai i talloni a terra e mi arrestai di colpo: per un pelo non disarcionò.
Camilla, la ragazza dei miei sogni, stava affiggendo un foglio A4 nella bacheca.  

La gioia della conversione

Viaggio A/R con pullman GT

Hotel *** pensione completa

Assistenza tecnica e spirituale durante il soggiorno

Alla modica cifra di 248 euro, l’Unitalsi di Parma organizzava un viaggio a Lourdes.

Fu in quell’istante che quella folle idea mi azzannò la mente.

I genitori di Luca lo misero di fronte a una scelta: pomodori o pesche, scegliesse pure lui cosa andare a cogliere.
Vito e io ci offrimmo di fare una colletta, ma Luca non accettò.

Eravamo noi due.
Ci giocammo a morra chi doveva interpretare l’invalido.

Indovinate un po’?

Mia madre ne fu entusiasta (da allora frequenta assiduamente un gruppo di preghiera), tuttavia pensò che affrontavo il viaggio per amore di una ragazza e non della Madonna.
E di certo non immaginava come lo avrei affrontato.

Il giorno dopo telefonai alla sottosezione dell’Unitalsi di Borgotaro chiedendo se avevano delle carrozzine in più.
Vito, accanto a me, rideva a crepapelle.

«Possiamo accontentarla, signor…?»

«Scalzi».

«… Ma al ritorno dovrà restituirla in sede».

«È il meno che io possa fare».

L’ultima cosa che pensavo era tenermela!

A quel punto c’era da capire come arrivare al pullman con la sedia a rotelle col padre di Vito presente.
In quell’istante non sapeva ancora nulla del nostro progetto diabolico.

«Oh, ma mi stai ascoltando?» mi chiese Vito ripassando il piano come da esperto stratega.

«Sì, sì.» Mentii: in quel momento stavo facendo a pugni con la mia coscienza.

«… Quindi – riprese Vito con fare talmente serio da sembrare, a ripensarci, fortemente grottesco – non farmelo dire a me che devi andare in bagno. A mio padre ci penso io, tranquillo. Tu quando esci siediti sul marciapiede, io fermo un passante che possa prenderti in braccio e portarti al pullman, è tutto chiaro?»

Nulla da ridire.
La ciliegina su quella torta di menzogne era bella succosa, ma dentro di me sentivo che era proprio la torta a essere avariata.
Mi allungò la mano.
Gliela strinsi.

La notte, prima della partenza, sognai che sfilavo sul red carpet, flash, flash, tanti flash, tutti volevano intervistarmi, accaparrarsi l’esclusiva.

Malauguratamente il piano di Vito filò liscio.

Una volta saliti sul pullman non riuscivamo a smettere di ridere.

Una suora si voltò verso di noi ed esclamò: «E poi dicono che i giovani di oggi sono tutti depressi!».

Dopo dieci minuti di viaggio era sceso il diluvio universale.
A contatto con l’acqua, i sudici finestroni del pullman erano diventati fumé.

Una coppia di anziani, lui col bastone tra le gambe, lei con una busta di plastica, dalla quale spuntava la punta di una tovaglia, guardavano come in trance i poggiatesta di fronte; un ragazzo, con una montatura da optometria, dava l’idea di essere seduto sulla poltrona dell’oculista, parlottava e gesticolava tra sé; una bimba con un maglioncino rosa dormiva in braccio alla mamma; avanti a noi, un uomo dalla folta barba e un altro così secco che dalla camicia sbottonata era visibile la sagoma dello sterno.  

Camilla è davanti, in piedi e parla con l’autista, proprio sotto l’avviso “Non parlare al conducente“.
Stavo per alzarmi ma Vito mi stampa una mano su un ginocchio.
La signora con la bambina poggiò una tempia al vetro per poi ritrarla subito, di scatto: voltandosi si notava un taglio degli occhi a mandorla e un epicanto pronunciato.

«Sei molto bella» disse l’autista a Camilla. Poi sbirciò nell’elefantesco specchietto, come per accertarsi che la lusinga non avesse oltrepassato la bolla della sua lascivia. Camilla sorrise.

«Va be’, te lo avranno già detto un miliardo di… Sai che mio fratello lavora nel cinema? Si occupa dei casting» continuò viscido l’autista.

Facemmo la prima fermata all’autogrill, ma col microfono ci disse di non scendere se non avevamo impellenze urgenti, eravamo lì solo per accogliere due nuove passeggere. Camilla si sedette accanto alla zia.

«Bonsoir» disse il pingue autista.

«Merci, mon chèr, tu es très jolie» rispose la spilungona con gli occhiali. La più bassa, invece, fece un lieve inchino.

«Piove?»

«Non, c’est de la sueur».

L’autista rise e scosse la testa come Stevie Wonder: «Basta un sorriso per schiarire un cielo bigio».

Che simpatico!

Quando le due si accomodarono, diede gas.

«Io stesso ho fatto la comparsa in film importanti» continuò la sua pispilloria, «Lo hai visto “L’amore malato” di Alberto Lattesi?» Camilla scrollò la testa «E “Apriti cielo” di Andrea Galiberti?».

Ma chi li ha mai sentiti ’sti film?

«Comunque pensaci, parla con i tuoi. Cerca ProZack su Facebook».

Ti cerco io, pensai, mangia maionese a tradimento!

Alle sette di sera arrivammo a Lourdes.

Preghiera, cena e branda.

Il giorno dopo, arrivati alla Grotta, ci piazzammo in prima fila. Era piena zeppa di pellegrini, di ogni nazionalità e colore. Piena all’inverosimile. C’erano volti di tutte le forme, tratti somatici di ogni continente, ascoltavamo lingue mai sentite prima. Dieci minuti dopo l’inizio del Rosario, Vito mi diede un colpo di gomito.
Annuii e…non riuscivo più ad alzarmi dalla sedia.

Riprovai.
Niente.
Nada.
Nothing.
Rien.
Nichts.

«Su, idiota» mi sussurrò, sgranando gli occhi.

Aprivo la bocca per rispondergli, ma non riuscivo a darle fiato.

«Gino… mi metto a bestemmiare forte, eh?»

Ed eccoci qui.
A. D. 2022.

Vi posterei volentieri una foto, ma credereste a uno scherzo.
Da diciotto anni vivo in carrozzella.

Sapete qual è la cosa strana?
Ho accettato da subito la mia nuova vita; con una serenità che tutti, al principio, hanno equivocato come depressione.

Oggi scrivo.
Ho preso il patentino di pubblicista, collaboro con varie testate giornalistiche, scrivo storie per bambini e gioco a Powerchair Football con i VipersMan di Parma.

A morra ci gioco, con mio nipote ‒ naturalmente senza scommettere ‒ ma non riesco proprio a fargli entrare nella testa che è la carta ad avere la meglio sul sasso.