Aspettando il tram

Brevi considerazioni “a favore” della pena di morte

di Davide Paciello
Illustrazione di Francesca Bosco

In attesa del tram mi accorgo di una macchina parcheggiata davanti la rampa per disabili sul marciapiede difronte.

Le persone sono capaci di cose orribili e disgustose anche per i motivi più assurdi, ma c’è solo una tipologia umana che merita la pena di morte: quella degli stronzi.

Ci sono persone che hanno bisogno di rieducazione e riabilitazione, ci sono altre che ci permettono di sondare gli abissi della psiche umana e poi c’è chi posteggia sulle strisce o al posto per disabili o blocca il traffico per parlare con amici. Questa gente non è cattiva, psicotica, in gravi contingenze o priva di mezzi, ma è stronza.
Non puoi rieducare un soggetto che antepone, alle norme della vita civile, la propria pigrizia e arroganza.

Passa il tram per la direzione opposta alla mia mentre una “Karen” si mette nell’auto incriminata.

“Karen”: donna cis, cristiana, bianca, etero, di mezza età e di estrazione medio borghese che considera se stessa il metro di misura della normalità.
Il suo immaginario è fatto di stereotipi di genere, di valori conservatori e di libri per donne represse, disperate e semi-analfabete, come del resto è lei. Cagna da guardia del patriarcato sogna di fare la mantenuta e, finché non si scopre, le vanno bene i “puttan tour” del marito tra trans e mignotte.
Il suo atteggiamento verso i diversi da lei oscilla tra il paternalismo spinto, per i “poveri non civilizzati negri”, e il disprezzo esagerato, per i “puzzolenti zingari ruba-bambini”.

Avvia la machina e se ne va, mentre io aspetto.

Esistono cinquanta sfumature di Karen: dalle catechiste analfabete la cui idea di cattolicesimo è “no froci, no aborto”, alle casalinghe che “devono fare tutto le figlie femmine”, alle divorziate sempre a caccia di un uomo che le mantenga. Le Karen che fanno carriera politica nelle file della destra reazionaria, le Karen pseudoliberali del tipo: “io sono femminista, ma, cara, te la sei cercata”. E non dimentichiamo la gioia dei camerieri «possiamo avere il tavolo fuori? Ah, ma fuori fa freddo e piove, preparaci il tavolo dentro… ah, ma ha smesso di piovere, può apparecchiare fuori per favore?», e ovviamente mai una mancia.

Continuo a guardare la discesa per disabili libera.

Da piccolo chiesi a mio padre perché non sopprimevamo i portatori di handicap, mi facevano tanta tristezza, e lui mi rispose che non stava a me giudicare la vita degli altri decidendo lo standard della felicità altrui. Dopo qualche anno tornai perfezionando la mia domanda: «Papà, perché non abbattiamo tutti quei soggetti che non sono in grado di produrre alcunché?», e lui: «Perché una società si misura dalla sua capacità di prendersi cura dei soggetti più fragili, non dalla sua produzione». È questa non era solo una massima culturale, ma una legge biologica: la cura del prossimo, in particolare del più fragile, migliora la sopravvivenza della specie e la qualità della vita generale.

Quindi, non posso che convincermene: chi occupa la rampa per disabili, le strisce pedonali o parcheggia come se fosse l’unica persona sulla strada, è nemico della specie più che della civiltà.
Finalmente ho trovato una categoria da eliminare.

Un’altra macchina occupa il posto e il mio tram non arriva.

In un solo colpo, il macchinone, occupa marciapiede, rampa, strisce e strada.
Esce dall’auto un signore over sessanta con un sorriso da marpione e l’aria di chi ostenta l’auto nuova per nascondere la sua insicurezza sessuale.
Va al tabacchino, probabilmente a comprare un pacchetto di sigarette, causa dell’impotenza, e un gratta e vinci: hai visto mai?

Stai ancora aspettando il tram? Allora torna alla fermata precedente!