di Davide Paciello
Illustrazione di Francesca Bosco
Fermata del tram. Attendo.
Quando sono soprappensiero o a disagio, le mie dita corrono sulla superficie del mio corpo in cerca di crosticine da grattare, palline di grasso da spremere, pelle morta da tirare.
Le dita si fermano all’orecchio e trovano un pelo. Lo tiro. Lo porto davanti gli occhi e lo guardo. Realizzo. Ho tirato un pelo bianco dal mio orecchio. È iniziata.
Passa sulla corsia del tram un ragazzo col monopattino elettrico, li odio quelli e non so perché.
Che fossi vecchio mentalmente e caratterialmente lo sapevo, ora si tratta di accettare il decadimento di tutto il resto.
È bastato un pelo bianco in un orecchio a farti notare che hai iniziato a raderti assiduamente perché la barba iniziava ad essere grigia. Quel piccolo pelo ha alzato il tappeto e ora ci trovi la polvere delle tue ossa che si sbriciolano.
Lo hai notato? In palestra è sempre un tantino più faticoso e ti sei detto, ma no, mi sono solo rotto il cazzo di spingere come farebbe un ragazzino. Eccolo.
Non hai più vent’anni e mente e corpo si stanno sincronizzando. Ora ti manca il tempo, la voglia e, soprattutto, il fiato. Continui perché l’unica motivazione che hai ora è: rallentare la caduta, fingere che non stia arrivando.
Cerco di distrarmi, ma vedo un ragazzino a sinistra e un anziano a destra.
L’anziano fa fatica a muoversi, ha un girello su cui si appoggia. Forse anche lui da giovane faceva boxe, ma ora eccolo lì.
Ogni giorno una ruga nuova solcherà il mio viso, tra una manciata di anni smetterò di sembrare un uomo maturo e inizierò ad apparire come il vecchio che sarò.
La pelle si appende e raggrinzisce inevitabilmente davanti ai miei occhi. Mi commisererò nudo davanti lo specchio e mi sembrerà che debba semplicemente cambiare abito, ma qui non sono previsti resi o negozi di corpi. Quell’abito sgualcito e strappato è tutto quel che hai.
La vista cederà il terreno alla nebbia e il mio mondo si popolerà di ombre.
I timpani saranno sempre meno efficienti, i suoni sempre più ovattati. Le parole dolci dei miei cari saranno distanti e confuse, ma sorriderò fingendo di averle afferrate tutte.
Perderò l’equilibrio in un mondo spento e confuso, i denti marciranno e verranno sostituiti con protesi, ma nel frattempo perderò il gusto del cibo.
La fatica che oggi sperimento a seguito di un grande sforzo diventerà compagna dei gesti più semplici. Non si tratterà di fare un km in più ma di arrivare senza aiuti alla fine della stanza.
Certo, uno può cicciare fuori storie straordinarie di ottuagenari a cui Capitan America spiccia casa, ma se è vero che non è mai troppo tardi per fare qualcosa è anche vero che non è detto che la si debba fare.
La mia volontà è schiava di bisogni naturali, si adatta e si deteriora a sua volta e alla fine quando ti piscerai addosso perché la prostata è andata proverai sempre meno vergogna. Quando arriverà la morte a porre fine all’imbarazzante peso che sei diventato per parenti e amici, sarai troppo rincoglionito per averne paura. Un lieto fine, tutto sommato.
Mi alzo e mi avvicino al bordo della banchina e il gesto mi sembra intriso di uno sforzo eroico, più che umano. Guardo fin dove la mia vista consente.
Questo tram non arriva.
La vecchiaia sì.