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una serie
di:
Arundo Donald

 

 

 Satif non era una persona. Non era un semplice gruppo e soprattutto non era l’acronimo di una partecipata dei rifiuti. Satif era un’idea. La migliore idea della storia….

 

 Capitoli:

 

 1 Personaggi

2 Uno, due e tlé

3 Piano infallibile

4 Tondini

5 Avanti tutta

6 Tutti presenti

7 Voglio andare alle Canarie!

8 Finale epico

 

(I personaggi di questo racconto potrebbero essere di fantasia)

vai all’episodio #01

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di
Arundo Donald

Capitolo ottavo. Finale epico

 

Andre e Viky si erano conosciuti al liceo artistico. Lui un cazzone, lei una secchiona, durante i primi anni non si erano mai neanche notati. A legarli fu la musica. Un giorno, andando in gita a Pompei, lei gli si era seduta vicino sul pullman (solo perché i posti erano tutti finiti) e lui le aveva passato l’auricolare. In un certo senso la loro amicizia fu siglata dai R.A.T.M. durante un campo scuola di merda ai piedi del Vesuvio. Non proprio come se Zack de la Rocha li avesse presentati durante un festino a base di droga su una spiaggia di Cisco. Ma comunque era fico, si poteva raccontare. Conan lo avevano conosciuto strafatto a qualche festa nei centri sociali di Roma, a base di erba e rock da paura. L’idea di Satif era nata per caso, una sera.
Di tutt’altra pasta invece, tra le varie tecniche apprese sotto le armi, oltre ai microsonni diurni e allo smercio di riveste porno, Nando si era specializzato nel corpo a corpo col fucile a baionetta. In pratica. caricare qualunque cosa respirasse, travolgendola. Più che per la destrezza nell’uso del fucile, in quella disciplina il parà si distingueva per la stazza e per la perseveranza nell’attacco, tipica, forse, solo del cinghiale gravido nordafricano.

 

Tiziano scaricò una tripletta sibilando come un compressore ben caricato. Nell’atto fu tanto composto che per un attimo il gesto sembrò innocuo. Uno strumento a fiato ben accordato aveva suonato tre lunghe note dentro l’autobus. Brevi, invece, furono i due secondi che bastarono a far ricredere tutti i presenti. I sedili più vicini quasi si sciolsero per le esalazioni e gli occhi delle persone cominciarono a lacrimare come fontane impazzite.

Nando fece ancora qualche passo verso la testa dell’autobus puntando il Pomata, ma la mancanza di ossigeno cominciò a stordirlo. Se la sua espressione poteva ricordare quella di tanti anni prima, il suo cervello era ormai poco più che una medusa abbandonata al sole. Fece un altro urlo, colossale, e sollevò il fucile verso l’alto come uno scimpanzé incazzato sfoggerebbe il suo bastone.

Sconvolto da tanta mascolinità, Tiziano azzardò un’ultima nota, che per le dimensioni sembrò un accordo a due mani e l’aria fu saturata del tutto da orribili mix di gas naturali. Tutti cominciarono a sragionare. I Coli intestinali dell’artista avevano sconfitto il microclima locale. In quell’autobus, ora, non valevano più le leggi della troposfera, ma le teorie tetraedriche dei combustibili gassosi.
Il giovane conducente si ritrovò a Imola a schiacciare sul pedale. Finalmente il suo sogno di pilota professionista si era avverato e lanciava il filobus a tutta velocità verso gli archi di Porta Pia. Ormai neanche la guardava più, la strada.

C’era gente che ballava. Un paio di anziani nuotavano abbracciandosi sul pavimento. Il Pomata non provava più quel terribile prurito al culo ed era collassato a terra col sorriso di un bambino. Conan faceva surf sulla schiena di una signora. Andre e Viky pomiciavano di santa ragione come fossero a letto nella loro prima notte d’amore.

L’autobus si era trasformato in una grande festa di colori a base di allucinogeni. Franci intonò Give Peace a Chance di John Lennon e i passeggeri cominciarono a sbattere i piedi seguendo il ritmo. Tiziano, che sentiva la canzone per la prima volta, ne apprezzò il ritmo e si mise a cantare improvvisando le parole.

L’autista, colto da chissà quale allucinazione, svoltò bruscamente verso Castro Pretorio, evitando Porta Pia, e si diresse correndo verso la Tiburtina. A causa della sbandata improvvisa, lo zaino con la tanica di benzina fu catapultato fuori dal finestrino oltre le mura Aureliane, finendo nella fontana dell’ambasciata inglese. In quel momento si svolgeva il meeting annuale della diplomazia. L’esplosione creò un gioco pirotecnico favoloso che lasciò a bocca aperta i diplomatici di tutto il mondo. Il giorno seguente Virginia Raggi avrebbe dichiarato di aver organizzato lei la sorpresa sotto consiglio del movimento cinque stelle, ma Beppe Grillo avrebbe poi smentito tutto sul web.

 

Intanto era scesa la sera. L’autobus in poco tempo aveva raggiunto le campagne romane dalle parti dei Castelli e i partecipanti alla festa avevano deciso di far tappa per cantine. Tiziano Farro prese a bere solo bollicine, nella speranza di sintetizzare nuovi fluidi psicotropi.

Al gruppo del 60 express si aggiungevano sempre nuovi componenti e non se ne perdevano mai dei vecchi. Persino diversi monaci dell’Abbazia Greca di Grottaferrata furono visti salire a bordo intonando inni e partecipando alla grande festa. La natura, tutt’intorno, accompagnava quel viaggio creando un copione tanto bello da sembrare scritto apposta. L’autobus attraversò campi, guadò fiumi, s’inerpicò sugli Appennini, facendo alzare in volo le cicogne e mettendo in fuga interi branchi di cinghiali selvatici.

Nando finalmente raggiunse il Pomata. Non ricordava affatto il motivo per cui prima provasse tanto odio. In realtà non ricordava neanche che cazzo stesse facendo su quell’autobus. I due si abbracciarono e condivisero un quartino di Malvasia Gialla Puntinata di Montecompatri, che scolarono alla goccia. Poi passarono al rosso sincero, freddo di frigo.

Da quel momento in poi, nessuno vide più quell’autobus.

 

Qualche leggenda dell’entroterra turco narra di un gruppo di stranieri (yabancıların) che furono visti festeggiare in un pullman (otobüs) vicino al confine con l’Armenia. Mentre dei pescatori indiani avvistarono un autobus italiano sfrecciare su una spiaggia del Kerala con a bordo molte divinità scalmanate.

Negli anni successivi, di pochi si ebbe nuovamente traccia. Ida e Franci si stabilirono con Karlos Marranos in Brasile e cominciarono a lavorare nella sua ONG. Viky, che da Andre ebbe due gemelli, diventò il capo di una multinazionale molto importante. Tiziano Farro non tornò più. Diverse persone giurarono di averlo visto in giro per il modo ad assistere a molti dei più bei concerti metal della storia. C’è chi giura perfino di averlo visto cantare e mangiare piccoli volatili insieme ad Ozzy Osbourne.  Il mondo, alla fine, fu dunque un pianeta migliore.

A morte il trash!!!

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di
Arundo Donald

 

Capitolo settimo. Voglio andare alle Canarie

 

Le fresie erano veramente freschissime ed emanavano un profumo pungente. Tiziano infilò il naso dritto nel mazzo e fece una bella sniffata, lasciando che l’aroma lo pervadesse inebetendolo. Ogni fibra del suo corpo si contorse rabbrividendo e il cervello gli si sciolse nel cranio colando giù fino ai piedi.

Aveva indosso dei grandi occhiali neri marca VIP che usava per nascondersi e passare inosservato. Al collo portava il suo foulard arancio selvatico preferito, con sopra ricamati i pappagallini colorati. Era alla fermata e aspettava.  Il cornetto al lampone era stato ottimo ma ora si sentiva gonfio e costipato. La pancia premeva contro i pantaloni e una fitta gli opprimeva le budella. Si guardò intorno. Poi scorreggiò.

L’aria circostante la fermata divenne rarefatta per un raggio di due metri. Pareva via di Malagrotta nel mese di luglio. Provò a trattenersi, ma quella fu solo la punta di un iceberg.

 

A bordo del 60 express la situazione procedeva timidamente. Sembrava quasi che prede e predatori si studiassero a vicenda. Se in fondo all’autobus Nando escogitava il modo per ottimizzare l’offensiva, tra le file centrali Satif cercava il posto migliore dove posizionarsi. Il Pomata era distrutto e aveva abbandonato la fronte contro un finestrino. Ida si chiedeva se Franci avrebbe mai fatto in tempo per la colazione.

Viky lentamente spostò il braccio allontanandolo dal fianco e, con dolcezza e disinvoltura hollywoodiane, afferrò delicatamente la mano di Andre. Il cuore le pulsava a mille e non stava respirando. Quando anche lui, lentamente, ricambiò il gesto serrando la mano, finalmente ricominciò a prendere aria. I due non si guardarono né si parlarono.

L’autobus rallentò, emettendo il rantolo affaticato dei freni esausti. Si fermò accucciandosi leggermente dal lato delle porte e sbuffando aria si concesse a Franci. Masticando l’ultimo pezzo di mela, il ragazzo salì dal retro. Con grande borghesia, gettò fuori il torsolo finito e si pulì le mani sui calzoni. Poi le porte si richiusero, ingoiandolo.

Lasciatevi alle spalle ogni pensiero, non fate cose azzardate, ma fate la cosa giusta. Volate alle Canarie!

I neuroni di Conan erano partiti. Nel senso che per la prima volta sentiva di aver avuto un’intuizione, di aver capito le cose. Forse solo… di avere dei neuroni! Non poteva morire senza aver mai volato; visto altri paesi; essere andato a letto con un’erasmus sbronza sopra un pedalò. Insomma, non poteva finire così.

«Io mollo» disse timidamente agli altri.

Ma Andre e Viky neanche lo sentirono. Stavano avendo un dialogo bellissimo, una discussione intensa senza parole, solo attraverso quella stretta di mano.
La mano di Andre stava dicendo: «Sì, è vero che ti ho sempre definito stronza e probabilmente perché lo sei, però quando ti vedo tutto va meglio. Il sangue è più fluido, la vista migliora, perfino il mondo sembra non essere poi solo una grande cacca cosparsa di vegetazione».

E la mano di Viky rispondeva: «Ma lo so, sciocchino, ricordati che tu fai quello che dico io, perché sei l’uomo e quindi l’essere inferiore. Comunque mi piaci da morire e poi quello che hai detto tu però sempre un po’ di più».

«Io mollo! Ma mi state ascoltando? … Ehi? Ho detto che mollo!! Stop; fine; caput!!!»

Andre fece per ribattere alle parole di Conan, ma improvvisamente fu distratto dalle grida delle persone nell’autobus.

«Avete visto? È lui… è Tizianone Farro!!!»

«Guardate… sta per salire alla fermata!»

L’autobus aveva raggiunto la fermata successiva. Quando le porte si aprirono, da quella anteriore comparve un’accozzata di colori con sopra la testa di Tiziano Farro e un leggerissimo lezzo di cavoli cotti si percepì nell’aria.

Conan afferrò Andre dalla maglietta e lo portò vicino.

«Non possiamo farlo oggi… non oggi, cazzo!»

«Smettila!!!» ribatté Andre, stringendo in una mano la stringa dello zaino e liberandosi con l’altra dalla stretta dell’amico.

La gente continuava ad animarsi vistosamente.

«È lui, è lui, ne sono sicura!»

«Ma dici?!?!»

«Sì, sì, al cento per cento!»

Le grida poi esplosero letteralmente, diventando fortissime. C’era perfino qualcuno che sbatteva i pugni ai finestrini. Andre si chiese come fosse possibile. Neanche al concerto dei Guns a Bilbao aveva visto scene del genere. Le grida aumentarono copiosamente: «Aiuto, aiuto!!» Andre non ci voleva credere. Poi un ruggito grottesco ammutolì per un istante il marasma generale: «Dove sei?!? Dov’è il sudicio maiale maledetto?!?!»

Nando imbracciava minaccioso il fucile. Aveva fatto la sua mossa.

Tutti ripresero subito a strillare più forte, così che nell’autobus non si riusciva neanche a sentire i propri pensieri. Era l’Inferno dantesco rappresentato in un unico girone. Era l’inizio del caos.

 

Nonostante il mezzo fosse già teatro di guerra, quel giardino delle delizie metropolitano avrebbe presto visto un ultimo atto; un finale eclatante e imprevedibile, partorito da personaggi senza vergogna e disposti a tutto pur di completare il loro percorso.

Viky si strinse ad Andre con tutta la forza. Conan, in trance, ripeteva di voler andare alle Canarie. Come se chiamato in causa, Tiziano fece un peto eclatante, talmente colossale che tutti nell’autobus cominciarono a tossire. Il terrore lo aveva contratto a tal punto che un vulcano d’aria tossica era fuoriuscito dal suo corpo, liberandolo.

 

L’atmosfera ora era mefitica e l’autobus un pandemonio. Sembrava un pianeta lontano. Forse il Pianeta ATAC.

L’autista accelerò, puntando Porta Pia.

[continua – Vai al finale epico! – capitolo #08]

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Satif, destinazione Nomentana
di
Arundo Donald

Capitolo quinto. Avanti tutta

 

La deflagrazione sarebbe stata da film.

Tutti i vetri dell’autobus sarebbero esplosi creando un effetto fontana con schegge sparate ovunque lontano. Il mezzo si sarebbe sollevato da terra di un metro buono, per poi ricadere producendo un tonfo sordo e metallico. Il quartiere intero sarebbe stato destato. Il mondo, finalmente libero.

Satif era a cavallo. Non mancava ormai molto perché il piano entrasse nel vivo dell’azione.

Conan aveva riempito la tanica con la benzina. A portarla era Andre nel suo Invicta Jolly arancione e giallo.
«Potevi scegliere uno zaino più visibile» disse Viky sfottendolo.
«Pensa a te, femminuccia!» rispose Andre ghignando e continuando a camminare.
La trovava carina quanto insopportabile. Aveva dei bei seni alti e delle gambe lunghe e veloci, proprio come la sua linguaccia.  Vestiva in maniera poco appariscente, ma si vedeva che aveva gusto. Insomma, ad Andre Viky non dispiaceva. Fisicamente, s’intende.

Satif si spostava velocemente verso la Nomentana attraversando le miti viette del Trieste Salario. Deciso e irrefrenabile, contava di raggiugere la fermata del 60 perfettamente in orario per le 10 e 30 circa.

Cinque fermate, due ville, sei semafori e circa 15 ambasciate più in là, sempre sulla Nomentana, Tiziano Farro era intento a fare colazione nel solito bar sotto casa.
«Ciao, Samantha, sei divina oggi! Che ci stanno i cornetti integrali alla pappa reale e cuore di lampone?»
Come sempre quando andava a incidere, faceva colazione, comprava qualche fresia dal fioraio romeno e poi prendeva l’autobus alla fermata d’angolo di viale Regina Margherita.

La Nomentana, a breve, sarebbe diventata un teatro di guerra.
A morte il trash, a morte i Viet Cong!

Franci nel frattempo era riemerso dal casinò senza fiches, ma con in mano una busta di mele. Ne addentava una camminando spedito verso la fermata più vicina. L’appuntamento con Ida era in centro. In un posto chiamato non ricordava neanche come. Poi sarebbero andati alla mostra di quel matto di Karlos.
Era felice di vederla e anche un po’ agitato. Non era molto che si frequentavano. Dopo l’incontro a Ostia, erano passate poche settimane durante le quali, se non si vedevano a casa di lei, andavano sempre a cena o al cinema. Ma anche a fare colazione e alle mostre.

Ida, dopo l’avventura consumata a casa dell’ex marito, era turbata. Avrebbe avuto voglia di dormire qualche ora, ma non poteva. Alle 11 e 30 aveva appuntamento con Franci al Caffè delle Arti in via Nazionale per una colazione veloce. Poi sarebbero andati alla mostra di Karlos Marranos, un fotografo brasiliano amico di Franci che viveva a Frosinone, dove aveva fondato una ONLUS che mandava soldi ai bambini delle favelas.
Lei che non usciva mai dai Parioli. Che adorava andare alle cene e agli aperitivi nei posti rinomati. Che odiava il diverso, storceva il naso, amava essere viziata e non le era mai fregato un cazzo delle stupide mostre da radical chic.
Pensò di essersi bevuta il cervello! Erano settimane ormai che si frequentava con uno che neanche poteva permettersi di pagarle una cena decente.
Uno che andava in giro come Jim Morrison nel periodo alcool e cocaina e che porcaputtana… la faceva impazzire.
Sì, si era proprio rincoglionita!

«Avanti tutta» disse Viky per spronare la squadra.
Ormai mancava veramente poco alla Nomentana. Erano circa tre chilometri buoni che camminavano e la stanchezza si faceva sentire. Lo zaino pesava.
«Ma non possiamo fare un po’ a cambio?» sbottò Andre scocciato.
«No» risposero in coro gli altri.
«Ma scusate, che senso ha? Che cazzo sarebbe la MIA missione?»
«No. Sarebbe che così è stato DECISO e così si va AVANTI e a tutta forza! Non si cambia un piano quando è bello che fatto. Si rispetta!»
Andre neanche rispose.
La odiava. Odiava quello zaino e odiava i suoi modi autoritari.
«AVANTI TUTTA!!» gridò Viky.

[continua… capitolo #06]

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di
Arundo Donald

Capitolo secondo. Uno, due e tlé

 

In un attimo Fernando e Ida si ritrovarono nell’imponente attico Martoni con quasi vista su Villa Torlonia. Fernando stringeva quei seni perfetti. Non li ricordava così. «Che se li fosse rifatti?»

Sentiva l’orgasmo crescere dentro di lui.

Quando avvenne, al luminare mancò la vista e tutto divenne nero per pochissimi secondi. Per un attimo, sparirono le mani di lei che stringeva la spalliera di ferro battuto del letto; le gocce di sudore che non smettevano di scenderle tra i seni; le coperte Ikea Luksory per veri intenditori in tinta con tende e copri poltrone. Sparì perfino quel senso di «che cazzata che stai a fa’ a riscopatte questa cagna», che durante tutto l’amplesso non lo aveva abbandonato e a breve sarebbe stato forte come non mai.

Non sapeva perché ma comunque si sentiva un leone. Nonostante l’età, la corsa mattutina e la totale assenza di colazione, si riscopriva sempre un uomo che adempiva i suoi doveri… anche con le cagne! Quando la vista tornò vide Ida con quell’espressione porca di soddisfazione, mista a velina di passaparola, che normalmente le disegnava la faccia dopo le più belle scopate. Allora capì… Era venuta anche lei!!

Mentre sotto le finestre dell’attico, i pesanti filobus sfrecciavano animando e inquinando la via Nomentana, Ida de Martini stringeva la spalliera in ferro battuto del letto e aveva caldo. Quello che fino a dieci minuti prima, per qualche strano motivo, le era ri-sembrato un individuo di sesso maschile con cui concedersi una scopata spensierata, ora le appariva come una moquette ansimante lontana dai bisogni erotici di una donna… di tutte le donne… probabilmente di tutto e basta!

Doveva evadere. Pensò che forse avrebbe potuto cambiare la lavatrice e che quel giorno la palestra sarebbe rimasta chiusa e che il centro commerciale non era poi tanto lontano… Poi udì il rantolo. Era fatta! D’impulso improvvisò come meglio poteva una faccia compiaciuta… e pregò che nel frigo ci fosse del thè freddo.

Mentre nell’appartamento del Martoni, dopo la chiavata, si discuteva su chi dovesse fare per primo la doccia, pochi piani più in alto Nando era sconcertato.

Di famiglia modesta, devota alla divisa, originario e residente in quel quartiere, di porcate nella sua carriera ne aveva viste molte, ma mai di quel calibro.

Una volta, nel cuore della notte, tornando dalla rimessa ATAC, aveva visto un tale che si masturbava dentro una cabina telefonica. Nella cabina aveva poi trovato una gigantografia di Iva Zanicchi, per giunta nel suo aspetto attuale. Un’altra volta aveva visto un tipo con indosso un costume da Uomo Ragno scalare il muro di cinta di villa Paganini per poi denudarsi aggrappato a una quercia.

Ma stavolta Nando Cei era furioso. Cagare per strada… E alla fermata… Questo non gli andava proprio giù!!

Rientrò frettolosamente in casa e ricomparve fiero con la carabina a piombini Beretta. «Per la Buonanima!» strillò.

Nel quartiere San Lorenzo invece, Francesco Bottarga detto Franci, quella mattina aveva messo quattro sveglie, programmando alle nove persino l’allarme del microonde.

Quando suonarono tutte insieme, per il rumore, fu come assistere in prima fila alla parata del 2 giugno.

Franci scattò dritto sul letto e insieme a lui ogni cosa abbandonata sul piumone. Il posacenere fece circa mezzo metro, rovesciando l’intero contenuto sulle lenzuola. Tre lattine di birra vuote rotolarono fino a cadere sul pavimento, producendo un suono troppo sordo per dei timpani così assonnati. Un paio di plettri arrivarono al bagno. Poi Francesco Bottarga osservò la sua stanza.

Non poteva più vivere in quel modo. Ora c’era Ida!

L’odore nauseabondo delle sigarette gli opprimeva il respiro. La luce del bagno accesa. Il fruscio dell’amplificatore valvolare. Le tazze vuote dei cereali e un bong ingiallito contornavano il suo letto. Perfino una mosca, che doveva essersi sbagliata a entrare, sembrava volare con disgusto tra quei rifiuti ammucchiati ovunque. Franci chiuse gli occhi e si lasciò cadere all’indietro rovesciando un altro posacenere. «E che cazzo!»

Intanto dalla finestra Nando puntava il Pomata.

Da giovane, prima di entrare all’ATAC, aveva fatto il militare a La Spezia e sparare gli piaceva un casino. Se avesse avuto anche la mira, probabilmente, sarebbe rimasto nell’esercito.

Il primo colpo non si avvicinò neanche lontanamente al bersaglio. «’Tacci tua…» esclamò Nando strizzando l’occhio per prendere meglio la mira. Il secondo tentativo non andò meglio. Male anche il terzo. Effettivamente non lo ricordava così difficile. Allora cercò un bersaglio più vicino e spostando rapidamente il fucile puntò dritto un asiatico seduto al bar sotto il palazzo.

«E mo’ er cinegro lo inculamo…» disse con tono serissimo di sfida. Di certo le idee politiche le aveva ben chiare.

«uno… due… tlé!» disse premendo il grilletto.

Il piombino squarciò l’aria e diversi moscerini raggiungendo il piccoletto a velocità smodata. Lui improvvisamente si sentì esplodere la fronte!

«Dai cazzooo!», esclamò Nando strizzando il fucile in mancanza di compagni con cui festeggiare. Gli occhi erano lucidi che quasi piangeva dalla gioia. Aveva fatto un centro perfetto.

Euforico, rientrò velocemente per non farsi notare.

Ora toccava al Pomata!

[Continua.. capitolo #03]

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di
Sabrina Sciabica

 

«Il 2 arriva, stia tranquilla. É che dopo le 21 il servizio è ridotto…».

«Speriamo! Prima che piova di brutto» rispose la signora corrucciata che sembrava guardare una partita di ping-pong tra il suo orologio e la linea del tram.

Doveva essere una turista, dedusse il vecchietto con la bombetta di colore nero, in contrasto col bianco dei capelli, che aveva iniziato la conversazione dopo un’osservazione silenziosa. Doveva aver camminato tutto il giorno, con scarpe impolverate stile ortopedico, punta larga e tacchetto basso, continuava a dedurre l’acuto osservatore.

«Calabresi dunque, i signori, e l’udienza è stata piacevole?»

A quel punto la donna smise col ping-pong e, come battendo un servizio con la racchetta da tennis, voltò rigidamente la metà superiore del busto grassoccio e, sbalordita verso l’uomo distinto che l’aveva interrogata: «Ma lei come lo sa?»

«Signori miei, così stanchi e spazientiti, sapete quanti ne ho visti di pellegrini quando impettito resistevo ore e ore, alternando mani congiunte alla tenuta della lunga alabarda, sempre indossando l’elegante basco da Guardia Svizzera!? In più oggi è mercoledì, e voi portate un rosario ad anello. Suo marito, poi, è così stanco che fissa il vuoto».

«Complimenti» disse ridendo il signore a fianco, che fino ad allora era stato immobile con le braccia conserte dietro la schiena.

«Uhhh vuoi un passaggio baby?» fece il vecchietto indicando i binari.

«Matri Matri ma cos’è?» urlò lei.

«Signora cara – un attimo di sospensione e con voce suadente riprese – un succi i cunnuttu, una zoccola, volgarmente detto topo, altresì ratto o topo di fogna, da non confondere con quello di campagna, che ha appena attraversato i binari. Ma non prende il tram. Mi ha appena risposto che preferisce andare a piedi. Eccolo, su, saliamo!»

Un attimo dopo l’attraversamento del topo, i tre salirono a bordo.

«E dove alloggiano i signori?» aveva chiesto con allegria il vecchierello.

«Al “b&b del Ponte” a Ponte Milvio» risposero.

Flaminio recitava, intanto, la voce registrata del tram.

«Tre stelle, prezzo medio, non brilla per pulizia ma per il personale cortese. Scusate… deformazione professionale, ero un valutatore della Novotel

«Ma non faceva la Guardia Svizzera?» Sussurrò lei, preoccupata per le condizioni della residenza prescelta.

«Ponte Milvio è il ponte più antico di Roma, risale al 200 a. C.» continuò l’anziano. «Ho un amico che vi abita. La sua zona si chiama Villaggio Olimpico, perché fu costruito poco prima del sessanta in previsione delle Olimpiadi, come alloggi per gli atleti. Dovete sapere che ci fu un inverno particolarmente piovoso, era il 2008 e il Tevere, che passa sotto Ponte Milvio, quell’anno straripò più volte».

Ministero Marina recitava, intanto, la voce registrata del tram.

La coppia si era seduta nei sedili a due mentre l’anziano signore, mantenendo teatralmente la sua bombetta in testa, si era seduto di fianco e guardava un po’ la strada e un po’ gli altri passeggeri che ascoltavano curiosi. A ciò si aggiungeva il tic di sollevare la spalla destra abbassando contemporaneamente il collo, come volendo ammiccare a qualcuno.

«Saprete sicuramente che Roma fu costruita su sette colli ma oltre ai sette famosi, anche le periferie sono piene di sali e scendi e proprio qui vicino c’è un dislivello notevole a distanza di pochi chilometri. E questo, lo insegnavo ai miei studenti, quando ero titolare di cattedra di Storia e Filosofia, alla Sapienza».

E qui la coppia sussurrò con aria interrogativa «Ma come, era valutatore di hotel?!».

«Anche questa zona del Villaggio Olimpico, vicinissima al vostro b&b, è più bassa rispetto al livello del fiume».

Flaminia Belle Arti recitava, intanto, la voce registrata del tram.

«Dunque era l’inverno del 2008» continuò l’eccentrico vecchietto «e il mio amico era tornato a casa verso le 8.30 di sera, dopo aver aspettato un’ora questo tram che, per via della pioggia, era stato rallentato. Era fradicio, si era spogliato e tolto i calzini zuppi lanciandoli in aria e camminando a piedi nudi da una stanza all’altra. A un certo punto, confuso e stanchissimo, si buttò sul divano per riprendersi».

Ankara Tiziano recitava, intanto, la voce registrata del tram.

«Fu proprio dal divano che sentì quello strano rumore. Oltre al rumore, percepiva una presenza, sebbene non fosse un suono proveniente da fuori, di questo era certo. Anzi, non era affatto un suono, più un fruscìo. Poi il silenzio e poi di nuovo fruscìo, insieme a rumore di acqua che si muove. Si alzò, perché lui viveva a casa da solo e le finestre erano chiuse, ne era sicuro, non era entrata acqua in casa. Ancora a intermittenza il rumore continuava e lui lo seguì sempre più attento per capire da dove provenisse. Si era aggiunto anche un rantolo lamentoso e indescrivibile che, anch’esso, a tratti, svaniva per poi ripetersi. Il mio amico camminò quatto quatto fino al corridoio e… prima stanza nulla, seconda stanza nulla, si avviò verso l’ultima, il bagno. Poiché proveniva proprio da lì».

Apollodoro recitava, intanto, la voce registrata del tram.

Dopo due secondi di sospensione, con voce più profonda, l’oratore riprese: «Una creatura della grandezza di una mano con due occhi microscopici e una coda sottile che sembrava lunga mezzo metro. Con le zampe scure si teneva aggrappato al water, dopo aver risalito le condotte degli scarichi o le vie sotterranee del fiume, e ne usciva, mentre il mio amico entrava nel bagno. Si guardarono negli occhi per qualche istante, dopodiché la creatura, portandosi appresso acqua lurida sgocciolante dal suo pelo irto, strisciava viscidamente nel pavimento a pochi millimetri dai suoi piedi nudi».

E a quel punto l’arzillo uomo scattò in piedi facendo sobbalzare gli spettatori e, piroettando verso le porte, urlò: «Buona serata signori miei, scendete alla prossima fermata e mi raccomando… richiudete il water dopo l’utilizzo!».

Scese con aria soddisfatta mentre la signora tratteneva a stento il disgusto stringendo nervosamente il braccio del marito che, intanto, rideva a crepapelle.

 

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di
Giulio Calenne

 

L: «Attento che mo’ la porta si apre dall’altro lato».

(bip bip) Entra una vecchietta, un comunitario extra e un liceale. Esce rumena carina.

M: «Grazie, mi ero distratto».
L: «A che stai a pensa’?»
M: «A niente…»
L: «Sempre a Camilla?»
M- «Ma no no.»
L: «Stai ancora a rosica’?»
M: «Ahò t’ho detto de no».
L: «Vabbè o scusa, t’eri imbambolato».
M: «Stavo pensando alla Metro».
L: «A che?!»
M: «Alla Metro come luogo dove si perdono continuamente delle storie».
L: «Me sa che era meglio Camilla… Tutto bene?»
M: «Ahò pensaci, ogni giorno passiamo circa 10-15 minuti sul treno a non fare praticamente nulla».
L: «Eh?»
M: «E nel frattempo, magari mentre ascoltiamo un po’ di musica o ci facciamo gli affari nostri, osserviamo chi ci è attorno cercando di capire qual è la sua storia. Guarda quella donna sui quaranta ad esempio. Bel fisico asciutto, scarpe con i tacchi, vestitino raffinato, borsa Gucci e occhiali da sole (in metro). Per me se sente ‘sto cazzo. Magari sta pensando che schifo questi poveri, dovrebbero aumentare il prezzo del biglietto. Sicuro è nata in una famiglia facoltosa ed ora è la dirigente di chissà quale azienda. E il marito la tradisce con la sua migliore amica».
L: «Io ‘na botta ja darei».
M: «Sì vabbè pur’io. Però che ne poi sape’ di quella? Magari ha gli occhiali da sole per coprire un pugno, magari si veste bene ma non c’ha ‘na lira, o forse va a trovare l’amante».

(bip bip) Entra uomo con baffi folti. Esce ragazza asiatica.

L: «Ahò ammazza che baffi! Quello sicuro è un buongustaio, perché si sa: di birra e di…»
M: «Lo vedi! Lo fai pure te!»
L: «Sì ok ma che c’entra con il perdere delle storie? Uno immagina e basta».
M: «C’entra eccome invece! Perché ogni volta che qualcuno o qualcuna scende dal treno si perde inevitabilmente la possibilità di conoscere il suo racconto. E a me ‘sta cosa me fa impazzi’!»
L: «Vorresti chiedere a tutti la loro storia?»
M: «Perché no?! Pensa che bello scoprire che quella darkettona là seduta si commuove ogni volta che vede La Bella e la Bestia. O che quel bangla appoggiato lì alle porte veniva preso in giro da piccolo perché voleva fare il supereroe».
L: «Er bangla supereroe della notte. Già ce sta. Vabbè e quindi?»
M: «E quindi niente, è inevitabile. Sul treno continueranno incessantemente a scendere e a salire racconti di cui non sapremo mai nulla. E boh, forse è meglio così».
L: «Possiamo sempre immaginare».

(bip bip)