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Primo indizio

di Stefania Coco Scalisi

Illustrazione di Serena Saia

Parola in codice: rosso di sera.

Chissà perché avevano scelto quelle parole, ma a quel punto non si poneva più molte domande.
Forse era stato il fatto che da mesi i colori erano diventati la chiave di volta per capire il tuo grado di libertà: giallo, tutti a fare i brunch; arancio, inizia a sfogliare il catalogo Netflix; rosso, riprendi in mano quel lavoro all’uncinetto che avevi iniziato l’anno prima.

Poi però, era venuta a sapere di quella forma di ritrovo clandestina, una cosa molto esclusiva, dei bar mobili, stile speakeasy, che agli eletti in grado di trovarli e pronunciare la parola segreta, schiudeva le porte di un aperitivo sorseggiato con calma, con musica di sottofondo e barista pronto a fare il pieno a un tuo cenno della testa. Galvanizzata dalla sensazione di essere una newyorchese pronta a sfidare le rigide regole del proibizionismo, prese il suo vecchio motorino e si mise alla ricerca di quel santuario del piacere.
Ma non aveva molti dettagli,  le era stato solo detto che il luogo si trovava accanto a un obelisco e che la parola in codice era “rosso di sera”.

Con un misto di perplessità ed eccitazione per quell’inutile vaghezza nelle indicazioni, iniziò a peregrinare per le strade della città vuota.
La vespa, ormai sempre parcheggiata, iniziò a borbottare infastidita da tutta quell’attività che di colpo le era richiesto di fare.
Ma non le importava, voleva un Manhattan e avrebbe attraversato i chilometri a piedi, se necessario, per averne uno.
L’unico problema era però che non aveva idea di dove si potesse trovare un obelisco. Lei in tanti anni non ne aveva mai visto uno. Ma se avevano parlato di un obelisco doveva per forza significare qualcosa. Cercò su Google, ma di obelischi neanche l’ombra.
Rilesse attentamente il messaggio che aveva ricevuto quella mattina, ma niente, c’era solo scritto: “Obelisco. Rosso di sera”.

Perse una decina di minuti per raggiungere un posto dove era quasi sicura di aver visto una cosa che ricordava un obelisco, ma con sommo disappunto si accorse essere invece una pagoda all’ingresso di un ristorante cinese, maledetta memoria che si inventa le cose per farti felice. Senza più idee, si rivolse a un passante. 
Quello vedendola, fece un balzo all’indietro.
Ed in effetti, tra casco, occhiali da sole e mascherina, poteva sembrare una tipa poco raccomandabile.
Realizzato il malinteso, il signore si offrì di aiutarla.

«Obelisco, dice? Mhmm, non so se si può aiutarla, ma mi pare di ricordare un obelisco vicino lo Stadio, dall’altra parte della città».
Ma si certo, come aveva fatto a non pensarci prima?
L’obelisco vicino allo stadio!

Senza perdere altro tempo, mise il turbo alla vespa e partì.
Le strade erano vuote e l’unico rumore che sentiva era quello del motore a scoppio e del vento sulla faccia.
Passò i semafori, tutti verdi, felici come lei per quella piccola gioia che stava per ricevere.
Vide da lontano una volante della Polizia, rallentò per evitare problemi.
Ma quelli erano distratti e non si accorsero neanche del suo passaggio.
Accelerò di nuovo. Nel giro di pochi minuti, vide lo stadio.
Parcheggiò.

Cercò con gli occhi l’obelisco, ma l’unica cosa che vide fu una mezza colonna rotta.
Ricontrollò sul cellulare la foto di un obelisco.
Non è che ci assomigliasse molto, ma magari era solo rotto. Magari se ci fosse stata la punta, allora si che poteva essere un obelisco.
C’era solo una casa, accanto il quasi obelisco.
Suonò.

Rispose una voce maschile, vagamente impastata, magari proprio dall’alcol:
«Chi è?»
«Rosso di sera»
«Chi è?»
«Rosso di sera!» urlò più forte.
«Bel tempo si spera. Arrivederci!»
«Aspetti, non è questo il bar…».

Terminò la frase per se stessa.
L’altro le aveva chiaramente chiuso il citofono in faccia.
Sconsolata andò verso la vespa. Mentre agganciava il casco, sentì una leggera vibrazione del cellulare. Lo prese, vide un messaggio: “Piramide. Blu notte”.

Sorrise.
La caccia ricominciava.

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