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di
Federico Cirillo

 

I colori dell’autunno in città: alzi gli occhi, grigio; abbassi gli occhi, grigio.
Poi cambia fuso orario e alle 18 cambiano i colori dell’autunno: è notte e il 23 non passa. È notte, il 23 non passa e piove.

Ed ecco, è già pallido, sepolcrale autunnoLa nebbia agli irti colli, piovigginando salel’ombrello a cui tendevi la pargoletta mano… vabbè, apriamolo va.

Stormi di bimbi, come esuli pensieri, saltano da una pozzanghera all’altra, sfiorando l’immagine grinzosa e tremolante di un Castel Sant’Angelo che lì si specchia. Mamme sbraitanti, ripetono il loro verso. Si ode il 23 far breccia.

Ma dove ve ne andate, povere foglie gialle come farfalle spensierate?  Autunno mansueto, io mi posseggo e piego alle tue acque a bermi il cielo, Respiro il fresco che mi lascia il colore del… «’tacci loro aoh, stanno dappertutto» – eh no, questa era meno poetica – «Dappertutto!» ribadisce, gracchiando mentre si scrolla di dosso le ultime gocce di brina dalla pelata madida di acqua e sudore con la manica di un giubbino nero di pelle.
Se parla delle foglie gialle come farfalle, o mi legge nella testa o è Trilussa, penso. «Dice le foglie autunnali?» azzardo con aria ancora lirica.
«Ma che cazzo stai a di’?» risponde con tono meno lirico. «Quelli, i negri, gli estracomunitari, nun senti che casino che stanno a fa’?» agitando il pollice della mano destra verso il nugolo di gente alle sue spalle. Tre bimbi sinti in fondo all’autobus, ancora affannati dalle corse nelle pozzanghere, provano a svincolarsi dalle mani sicure e vigili delle due mamme.

«Ma so bam…» provo ingenuamente a ribattere. «Mo’ so bambini, poi crescono… crescessero al paese loro!» risponde lui anticipando ogni mia mossa con aria e fare di chi la sa lunga.

Il 23 taglia il tragitto, la pioggia insiste, il tipo anche. Si libera un posto doppio, mi siedo, poggio l’ombrello accanto alla borsa. «Che poi – continua sedendosi accanto a me, con fare più accomodante ed amichevole – dico io no, già c’abbiamo tanti problemi noi qui in Italia, ce li dobbiamo pure porta’ da fuori? Questi vengono, stru… stuprano, rubano e fanno quello che je pare».
«Ma quei bambini lì dice? – provo a stemperare con la mia tipica vena humor – Ma non credo che…»
«e nun cazzeggia’! Sto a parla’ serio!» mi riporta all’ordine con discrezione il tipo: altero come un Francisco Franco, rigido quanto un busto di mussolinana memoria, aperto al dialogo quasi quanto un Erdogan. «Stiamo tutti co’ le pezze ar culo e li facciamo entra’. Ci starebbe da alza’ un muro e fa passa’ solo quelli che servono» non fa una piega. Il tizio, non il ragionamento.
«Ma poi è tutto un business sai? – cambia tono diventando improvvisamente molto keynesiano, guardandomi fisso come a cercare un appoggio etico – Vengono, sbarcano, si mettono nelle strutture d’accoglienza e poi… je danno 30 euro al giorno! Al giorno! 30! E poi girano con l’iphone – che fine ha fatto lo stile keynesiano? – macchenesai te? Ma te sembra normale? Ce rubano il lavoro, ce rubano le donne, ce rubano le case… tutto si rubano. Li trovi ovunque, stanno dappertutto, stanno» e mentre ripete questo mantra, dello “stanno dappertutto, stanno scende a Vanvitelli e se ne va.

Che tipo – penso –  l’elogio al qualunquismo insomma. Che poi continua a bofonchiare da solo, anche sotto l’ombrello. Buffo, è simile al mio. Sicuro l’avrà comprato fuori la metro pure lui.

FERMATA – Via Ostiense Matteucci: e piove ancora. Sarà lirico quanto ve pare st’autunno però checcazzo pure la poesia m’ha tolto quell’Hitler de Testaccio. Vabbè, si scende. Cuffie, borsa a tracolla e ombrell… dove cazzo? NO! ‘tacci sua altro che uguale… era il mio!! Ma guarda che testa de…

Non faccio in tempo a scendere a Mercati Generali che, aperte le porte, nel buio dell’autunno, mi si para davanti tra il 23 e il marciapiede, un porta-ombrelli umano: scuro quasi come le 19 di sera, i denti bianchi brillano in un sorriso, i capelli bagnati incollati sulla fronte, alto quanto gli ombrelli che tiene appesi tra braccia e mani. «Ombrello amigo? – dice sorridendomi e lanciando uno sguardo verso la pioggia – Ombrello? 10 euro».

Meno male – penso – state dappertutto.

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di
Federico Cirillo

 

Freddo. Sonno. Sonno, freddo e poca voglia di vivere: come ogni giorno dopo la domenica, è di nuovo il lunedì più lunedì dell’intera settimana. Potevo rimane a letto, mi inventavo ‘na febbre, un malanno, la tosse, ‘na meningite. Ce credevano pure – sbadiglio – considerando che a Garbatella c’è stato il caso della scuola che…ah il 23. Freddo, pure sul 23.
Quanto è lunga Ostiense stamattina. Ancora dobbiamo affacciarci a Piramide che già c’è un po’ di traffico che blocca la circolazione e dà semaforo verde alle bestemmie. «…man, you’ve got to be sincere…If you’re really sincere (parara) If you’re really sincere (parara) If you feel it in here Then it’s gotta be right Oh, baby! Oh, honey Hug me, suffer… che dicono questi?». Via le cuffie; via Birdie dalle orecchie (peccato mi stavo a fomenta) e via, proiettato nell’ennesima puntata de I cazzi degli altri:
«… che l’ha detto davvero!» chiosa l’anziano con la coppola.
«Ma ne è sicuro?» chiede il ragazzo con il Montgomery blu, aggiungendo «Magari ha sentito male…».
«No, no – rincara la vecchina con due buste in mano – l’ho sentito pur’io, ma tanto io scendo a Piramide, che me frega».
«L’ha detto davero, l’ho sentito bene. È come dice il signore» rincara un omone grassoccio dagli zigomi arrossiti dal freddo e un naso troppo schiacciato che lo rende buffo data la stazza.
«Ma che ha detto? – domanda una ragazza incuriosita, come me, dal vociare insolito e preoccupato.
«Me sa che ha detto… quella cosa, quella dell’Isi» specifica l’anziano con la coppola, abbassando lo sguardo e il tono di voce. Il capannello si scuote – insieme al 23 che si immette sulla sfilza di Lungoteveri – e diventa tutto uno scattar nervoso di teste alla ricerca dell’eventuale ayatollah.
«Ma chi? Chi è stato?» «Oddio mo’ esplodemo»
«Signò ma lei non doveva scenne?»
«E mo’ so’ curiosa de capi’ chi è! Famme un favore giovino’, se sposti un po’ così guardo meglio in fondo, so’ bassina sa…io nun vedo…manco un arabo».
«Ma no, no, non vi fate sgama’… me pare è uno un po’ tarchiatello… scuretto, occhiali da sceicco tipo… parla tutto strano ma quella cosa l’ha detta so sicuro»
«E se se fa esplode davvero?? Che famo??»
«Eh, e che famo? O scennemo o morimo… io però devo arriva’ al Vaticano, mortacci sua, ma proprio sul 23? N’s’è mai sentito su»
«Noo, e quello sicuro – colpo di genio del giovane studente targato Lumsa – se fa esplode al Vaticano cazzo. Sicuro» «Allora scennemo alla fermata prima… così io vado a lavoro tranquillo e famo pure du foto a… no vabbè meglio non pensacce».
«Oddio, oddio… – la ragazza adesso è bianca come un cencio – l’ha ridetto, ad alta voce, al telefono… l’ho… l’ho sentito bene. Fatemi scendere… accosti – bussando sul vetro dell’autista –accosti».
«Sì, scendo anche io, non voglio mori’ sull’atac, già è ‘na bara nei giorni normali, figurati se la voglio come ultima immagine».
«Sì, andiamo e fammi di’ su facebook che sto bene, sennò si preoccupano».
«Su che?».
«Su facebook signo’, il social che…» e scendono ad uno degli innumerevoli lungotevere.

Mi giro e mi guardo intorno. Il 23 si è svuotato, c’è pure posto a sedere. Intanto dal fondo un uomo tarchiato, scuretto di carnagione, ampie e folte sopracciglia e dei Rayban neri, concitato parla al telefono mentre si avvicina alla porta del bus. L’attentatore, l’ayatollah! penso e adesso ce l’ho davanti e riesco ad ascoltare perfettamente la sua voce, la sua cadenza e il suo tono: «…allà, t’aggia ritt’ allà! ALLÀ A’O BBAR ce verimm uagliò, quante volte te l’aggia spiega’?» e preso dalla stizza di chi non riesce a farsi capire al telefono, Salvatore Ascione, docente di letteratura anglo americana alla John Cabot University, originario di Ercolano, scese con passo svelto ostacolato dal lungo giaccone nero.

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di
Stefano Pupazzi

 

Amiamo Tutti, Anche i Colorati. Confesso che all’inizio non avevo capito il senso dell’acrostico, ma ero almeno riuscito a metterlo in relazione con l’altro, Colorati Ovunque, Tutti RAgazzi del Lazio, letto di sfuggita sulla fiancata di un pullman diretto a Colleferro. Tutto è diventato chiaro qualche giorno fa, quando, in procinto di salire sul 20 al capolinea di Anagnina, ho sentito una voce premurosa che diceva

«ma cosa combina? Sale insieme ai negri?»

Stupito, mi volto e vedo un controllore venirmi incontro trafelato.

«Signore, Lei è davvero distratto…meno male che ci sono io a controllare!» mi fa.
«A controllare cosa? E poi chi sarebbero questi negri, di grazia? Ancora usiamo la parola negri? Ma non si verg…»

«Aspetti, aspetti: Lei mi ha evidentemente frainteso… per di più, signore, debbo constatare che non è al corrente delle nuove disposizioni… ma mi lasci spiegare. Le due maggiori aziende della mobilità autoferrotranviaria hanno da poco inaugurato le cosiddette linee N, dedicate esclusivamente al carico e alla tratta di negri e altre razze colorate…»

«cosa?? Sto sognando, vero?»

«Ma no, no! Tutto ciò è finalmente realtà! Linea N, come avrà capito, sta per linea Negri; si tratta di una linea che accoglie questa povera gente in modo tale da farla sentire a casa, senza la presenza (un po’ imbarazzante, diciamola tutta) di noialtri normali. Ma non è solo questo il punto: di fatto, con queste nuove linee, si sono risolti diversi altri problemi. Intanto, gli autobus non sono più così affollati, essendo aumentato il numero delle vetture: vorrà ammettere che questo è un bene»

«sì, ma…»

«suvvia, mi lasci finire. È stato poi risolto il problema dei furbetti del biglietto, e ciò con poche e semplici precauzioni. Intanto, quella più ovvia: la selezione naturale, per così dire, al momento della salita a bordo. Un negro e un bianco li distingui subito, no? Ebbene, le linee N possono caricare solamente i negri. Questi ultimi, poi, sono ormai quasi tutti forniti dell’abbonamento vitalizio “dalla pelle al cuore”; al momento dell’ingresso devono infatti mostrare il numero di abbonamento marchiato a fuoco all’altezza del polso»

«ma che diavolo sta dicendo! Lei… Lei…»

«ecco, lo sapevo; di nuovo ci accusa senza capire…e invece io Le dimostro che i tecnici hanno pensato a tutto, escogitando una soluzione finale che avesse come obiettivo il bene di questa gente. Come Lei saprà (perché Lei lo sa, vero?), è dimostrato scientificamente che le razze non bianche hanno una memoria labile e, insieme, una certa faciloneria che le spinge a inopinate trascuratezze…come ad esempio quella di scordare a casa biglietti e abbonamenti. Con il vitalizio “dalla pelle al cuore” è stato risolto anche questo problema…e Lei dovrà concedere che assicurarsi il pagamento dei clienti, per un’azienda di trasporti, significa avere una maggiore efficienza e garantire un servizio migliore al cittadino. Quanto ai negri, poi, non corrono più il rischio di beccarsi una multa salata! Come vede, la soluzione finale accontenta tutti…a meno che Lei non voglia negare i vantaggi di tale soluzione: in questo caso sarei curioso di sentire le Sue proposte per il risanamento dell’azienda e per la risoluzione di certi problemi ormai atavici…»

«no, ecco…non avrei particolari proposte…e poi, se mi dice che ci hanno pensato dei tecnici…però una cosa non la posso far passare: la parola “negro” sdoganata in questo modo…»

«allora Lei non ha colto la filosofia che sta dietro al progetto! Vuole che quella gente capisca se usiamo perifrasi come “diversamente bianchi” o amichevoli epiteti del tipo “bruschette”, “cioccolatini” e via dicendo? Consideri che la mediazione culturale ha come presupposto la reciproca comprensione e quest’ultima deve basarsi su una lingua semplice ed efficace»

«mi scusi… non avevo capito…La ringrazio per la spiegazione e Le auguro una buona giornata».

Stamane ho rinnovato l’abbonamento: in omaggio mi hanno dato una spilla che raffigura un cuore con intorno la scritta Amiamo Tutti, Anche i Colorati.