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di
Arundo Donald

 

Capitolo sesto. Tutti presenti

 

Spiando i nostri personaggi con Google Maps, ora li vedremmo convergere verso la via Nomentana. Anzi, li troveremmo già lì.

Chi a una fermata, chi passeggiando, chi perfino imbracciando un fucile. Tutti accomunati da un univoco quanto ambiguo destino.

Satif aveva raggiunto la fermata. Era stanchissimo.

Aveva camminato, comprato la benzina, camminato ancora, riempito la tanica, attaccato l’innesco, sempre camminato, comprato i biglietti dell’autobus, ricamminato un pochino e finalmente era giunto a destinazione. Andre era sfinito.

La Nomentana era splendente, in una forma ottimale. Gli immensi platani verdi la facevano da padrone, mascherando leggermente l’intensa attività antropica.

Mentre una schiera di taxi bianchi intasava le corsie preferenziali, infiniti motorini si alternavano ammucchiati, come stormi che si proteggono dai predatori.

Andre si accese gli ultimi due tiri di canna e si appoggiò al bordo della fermata. Viky lo fissava sconsolata. In cielo, un grande Airbus A380 passò basso puntando Fiumicino. Era così vicino che quasi si potevano leggere le scritte e i quattro enormi motori sovrastavano il rumore delle macchine.

«Hai visto che bestia?» disse Andre rivolgendosi a Conan.

«Se non avessimo la nostra missione… mi piacerebbe volarci dentro, a uno di quei cosi» ribatté Conan, fissando la densa scia grigia che ancora si intravedeva nel cielo. Andre neanche rispose, abbassò lo sguardo e aprì Smezziamo sul telefonino. Non c’erano nuovi racconti. Intanto, diversi metri più a sud, Tiziano Farro canticchiava il suo capolavoro stando seduto alla fermata.

 

Le tue parole sono la mia malattia,

La mia fortuna che sei andata via,

Amore rosso fatti spazio tra la folla,

Devo addestrare i miei anticorpi per la guerra…

 

Quel testo gli sembrava una vera esplosione di emozioni. Lo aveva scritto in due battute separate. L’ispirazione e la prima bozza erano state partorite durante la pulizia dei denti del giovedì pomeriggio. A un certo punto, si era alzato di scatto e si era messo a scrivere le parole sul bavaglino per gli schizzi di placca che gli aveva messo l’igienista. Mentre il resto della canzone lo aveva completato durante un viaggio a Spoleto, organizzato per un’avventura selvaggia e spericolata, al TOP come non mai.

 

Intanto Nando aveva perso la brocca. Ormai nel loop da marcia su Roma, aveva abbandonato l’idea di impallinare il Pomata dalla distanza. Lo avrebbe invece affrontato in un corpo a corpo, raggiungendolo alla fermata e costringendolo ad arrendersi. Si era infilato in una camicia scura con diversi stemmi sulle tasche e, col fucile sotto braccio, aspettava l’ascensore fischiettando pezzi nostalgici. La vecchietta dell’appartamento accanto aprì la porta.

«Ma che, so’ tornati i tedeschi?!?» chiese con un filo di voce.

Era Franca, la vecchia dirimpettaia che a malapena si reggeva in piedi. «No, no, stia tranquilla. Entri in casa e ci resti!» sbottò Nando entrando in ascensore. Nando la chiamava “la mummia”. Ogni volta che usciva o tornava a casa, lei apriva la porta per spiarlo. Per un attimo pensò di spararle.

 

Le tue parole sono la mia malattia,

La mia fortuna che sei andata via,

Amore amaro fammi ridere al mattino,

C’è un anticorpo per sottrarsi al mio destino…

 

Quando Nando sbucò dal portone, un 60 express procedeva svelto verso il Pomata.

La fermata era dalla parte opposta della strada e per raggiungerla, in sostanza, avrebbe dovuto volare. Da vero guerriero e senza pensarci troppo, si lanciò in strada in una corsa omicida fuori le strisce pedonali. Una macchina che passava tirò un’inchiodata colossale e l’automobilista lo maledisse dal finestrino. Nando, col cervello ormai fritto dall’adrenalina, imbracciò il fucile e lo puntò sul guidatore. «All’armi… All’armi!!». Correndo ancora più in fretta saltò al volo sull’autobus, non perdendolo per un pelo.

 

Sullo stesso autobus era salita anche Ida.

Il 60 era affollato. Ida si era seduta nel posto singolo alle spalle del conducente, mentre il Pomata, in piedi di fronte alle porte centrali, si grattava il culo con il pollice. Nando era appoggiato in fondo. Aveva nascosto il fucile tra il corpo e la parete dell’autobus, mentre con lo sguardo mentecatto, scrutava fisso il suo obbiettivo.

Alla fermata successiva salì Satif. La missione ora aveva raggiunto il punto del non ritorno. Andre posò lo zaino a terra e finalmente poté sgranchirsi la schiena. Viky si strinse stranamente a lui. Trovò che avesse un odore buonissimo. Gli ricordava il gelsomino.

Conan fissava un cartellino pubblicitario appeso ai sostegni per le mani. Il testo diceva: lasciatevi alle spalle ogni pensiero, non fate cose azzardate, ma fate la cosa giusta. Volate alle Canarie! Sotto l’immagine di un gruppo di surfisti in spiaggia sorridenti.

«Non ho mai preso un aereo» disse improvvisamente Conan.

Andre e Viky si girarono stupiti: «Eh?»

«Non ho mai preso un aereo!»

[continua.. capitolo #07]