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di
Matteuccia Francisci

 

Micol Mezzanotte

Sesso: F

Età: 28 (al momento della scomparsa)

Corporatura: normale

Statura: 170 cm

Occhi: verdi

Capelli: neri

Scomparsa da: Roma

Data della scomparsa: 01/11/2018

Data pubblicazione: 19/11/2018

Micol Mezzanotte, 28 anni, viveva a Roma, da sola. Il 1 ottobre 2018 stava andando al lavoro, ma non ci è mai arrivata. Il suo numero di telefono risulta non essere mai stato attivo e la compagnia telefonica non sa spiegarsi la cosa. Una testimone afferma di averla vista a Piazza Vittorio con un uomo nei pressi della Porta Alchemica, ma non è in grado di fornire una descrizione dell’uomo che era con lei. Gli amici, trovando il numero di telefono sempre staccato, come se non fosse mai esistito, si sono allarmati e hanno chiamato le forze dell’ordine. Le indagini sono ancora in corso, ma la donna sembra letteralmente svanita nel nulla. Chiunque abbia notizie o creda di averla vista, è pregato urgentemente di mettersi in contatto con la trasmissione.

Federica Sciarelli, con il consueto tono serio serio che ben si confà all’infinita serie di potenziali disgrazie e mancati approfondimenti di indagini di cui si occupa quotidianamente, parla al telefono con un uomo. Lui dice di averla vista, che sta bene, ma non vuole dire dove sia. La sua voce è bassa, stentorea, la Sciarelli è spesso costretta a chiedergli di ripetere quanto ha detto.

Seduto al buio, davanti alla televisione, Tommaso sorride impercettibilmente e dice a bassa voce: «Tempus ridet, brevi rodet», poi riaggancia e spegne la tv.

«Andiamo, Kebab, è ora di dormire». Un grosso micio tigrato, con un orecchio mangiucchiato e la coda mozzata, apre pigramente gli occhi verdi, si tira su e si stira.

«Miao?»

«No, non ti troveranno mai

 

[torna al Capitolo #02]

 

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di
Matteuccia Francisci

 

Piazza Vittorio è sporca di brutto e i giardini sembrano abbandonati a sé stessi da troppo tempo.

«Una volta l’Esquilino era il luogo dove le streghe si procuravano i cadaveri per i loro filtri e altre diavolerie. Qui ci stavano le fosse comuni» dice l’uomo camminando, anzi quasi saltellando. «Del resto a Piazza del Popolo facevano i sabba infernali. Tutti pensano che Torino sia una città magica, ma Roma non ha nulla da invidiarle

«Questione di marketing» dico io, passando accanto a una serie di personaggi improbabili, nessuno dei quali sembra avere mai avuto una casa, dei genitori, dei parenti o degli amici. E neppure dei vestiti puliti. Lui guarda verso l’alto, passa saltellando in mezzo a questa umanità disperata come se non gli interessasse. O non esistesse.

«Questione di saper custodire i segreti» mi dice voltandosi, e sorride.

«Io mi chiamo Micol, tu?» mi decido a dire mentre cerco di stargli dietro.

Che cavolo ha da correre così, e perché diavolo lo sto seguendo?

«Tommaso. Perché sei scesa?»

«Voglio venire alla porta.»

«Perché?»

«Forse, per andare di là.»

Ma la porta è circondata dalle sbarre, non si può entrare.

«Che peccato, eh?» dice Tommaso guardandomi dall’alto in basso con i suoi occhi azzurri, che ora mi sembrano vagamente folli. «Solo i gatti e le gattare possono entrare, ci sta una colonia là dentro.»

Vedo una donna che sta armeggiando con ciotole e bottiglie di plastica piene di acqua, circondata da una ventina di gatti circa.

Anche io sono una gattara, penso. Mi sporgo dalle sbarre e le chiedo se posso entrare a guardare i gatti, le racconto della colonia che mi sono ritrovata appioppata come la santità di Padre Maronno. Poi, facile facile, le chiedo il nome del gatto più brutto che sta lì. Mi dice che si chiama Kebab, perché va sempre a mangiare dal kebabbaro lì vicino. E mi dice di fare il giro.

Tommaso mi sorride e dice: «Molto brava», quasi fosse stato un esercizio svolto.

Entriamo e, dopo aver accarezzato Kebab per bene, cammino verso la porta. Non so bene cosa fare, ho letto su Wikipedia la storia del Marchese Palombara, i simboli incisi e i motti che li accompagnano. La porta mi domina col suo occhio che non vede e tutto il suo corredo di misteriose allusioni. Cerco di leggere i motti, so qual è il verso in cui vanno letti ma li intravedo appena, il tempo li ha quasi cancellati. Mi guardo intorno, è tutto così poco suggestivo: l’erba alta, le foglie cadute, e oltre le sbarre la sciatteria della città, dell’anima di chi la abita. Eppure continuo a guardarla.

«Che ne pensi?» mi chiede Tommaso.

«Boh, mi aspettavo qualcosa di più…non so…»

«Magico?» suggerisce lui.

«Sì, forse. È bella, ma qui è tutto così mal tenuto che sembra quasi una cosa buttata là e dimenticata.»

«Tutte le cose importanti stanno così. È in questo modo che si conservano. Nel nascondimento

«Tu sei mai entrato?»

«No. Vuoi provare tu? Si sedes non is

[continua – Capitolo #03]

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